Appuntamenti
10/06/2011
Luigi Cosmi intervistato per Alta Quota
Ampio risalto all'autore di Mosé dei faraoni.
Il periodico bimestrale Alta Quota nel suo numero 36 di maggio/giugno 2011 ha voluto dedicare ampio risalto all'opera Mosè dei faraoni, edita da Goliardica Editrice, attraverso una lunga ed interessante intervista all'autore del libro, Luigi Cosmi, realizzata da Vanni Veronesi.
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\ Intervista riportata qui sotto in forma integrale:
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\ Luigi Cosmi è l’autore di un bellissimo saggio, pubblicato da Goliardica Editrice, intitolato Mosè dei faraoni. Non voglio fare altri preamboli: vi prometto che ciò che leggerete sarà davvero sorprendente...
\ - Innanzittutto, chi è Luigi Cosmi?
\ «A metà degli anni ‘50 mio padre emigrò in Venezuela per lavoro; io dovevo ancora nascere, mio padre riuscì a ricomporre il nucleo familiare solo l’anno dopo, quando tutti ci trasferimmo a Caracas, che a quel tempo era una vera capitale moderna: evoluta, caotica, ma assai migliore rispetto ad oggi… Alle elementari ho frequentato sia la scuola con ordinamento venezuelano, sia quella con ordinamento italiano, a giorni alterni; finite le elementari, si poteva scegliere fra la scuola solo venezuelana e quella solo italiana. Scegliemmo la seconda, anche se molte materie erano comunque legate al luogo dove vivevo: la storia, la geografia, la letteratura e l’educazione civica erano
\ ‘doppie’, italiane e sudamericane».
\ - Una faticaccia...
\ «Sì, senza contare che il mio liceo scientifico era di quattro anni, ma il programma era comunque tarato sui normali cinque: puoi immaginare la quantità di studio! Lingua e letteratura straniera; inglese. Lingua e letteratura ‘madre’: italiana. Lingua e letteratura spagnola e sudamericana...
\ perché ero in Venezuela. E infine latino, ovviamente. Più tutte le tipiche materie dello scientifico. Poi fu la volta dell’università: decisi che era il momento di andare in Italia. Per me, l’università era sostanzialmente tre cose: medicina, legge, ingegneria. Il resto non sapevo neanche che esistesse... Arrivai dunque a Padova, dove fui accolto dai miei zii, conosciuti per la prima volta in aeroporto. Scelsi medicina, ma...»
\ - Ma?
\ «I primi due anni completai tutti gli esami, eppure sentivo che qualcosa non andava. Mi pesava alzarmi e andare all’università e ciò mi faceva pensare: “Ma come? È una scelta che ho fatto io, non è possibile soffrirne”. Così, scrissi una lettera ai miei genitori: “Mi iscrivo a psicologia”, facoltà che avevo scoperto per puro caso esistere a Padova. Ma nemmeno quella fu la volta buona: mi dividevo fra Venezuela e Italia, non sapevo davvero che fare della mia vita. Nel frattempo, però, mio padre era diventato qualcuno a Caracas: era regista e aveva una casa di produzione cinematografica. Mi propose dunque di entrare nel mondo della pubblicità, ambiente che conosceva bene: in poco tempo fui assunto in un’azienda pubblicitaria molto importante. Ci rimasi due anni e mezzo, ma il richiamo dell’Italia e della ragazza che avevo conosciuto all’università mi convinsero: sarei tornato definitivamente per riprendere gli studi. Così, tornai a Padova, mi sposai e poi mi trasferii con mia moglie a Roma, dove mi laureai in psicologia nel 1985. L’anno dopo ero già psicologo a Udine: da allora sono consulente per la formazione degli insegnanti di sostegno. Mi sono occupato anche di elaborazione di dati cognitivi».
\ - Devo dire che questo si nota, nel libro: la capacità di analisi dei dati a disposizione... Venendo più nel dettaglio al tema dell’opera, com’è nata l’idea di un saggio su Mosè?
\ «Cominciò tutto un pomeriggio a Caracas. Avevo quindici anni ed ero solo in casa: vidi un volumone viola sugli scaffali, con la scritta dorata La Sagrada Bibla (era la Bibbia in spagnolo), e sentii la curiosità di aprirla, cosa mai fatta prima. Aprii il tomo sulla pagina segnata dalla fettuccia segnalibro e lessi questa frase: “Mentre si trovava in viaggio... Dio cercò di farlo morire». Ne fui sconvolto.
\ Ma come? Mi era sempre stato insegnato che Dio era amore, pace, bontà immensa... e la Bibbia riportava una frase come questa? Volli subito saperne di più: sfogliai all’indietro il libro e capii che il soggetto del tentato assassinio divino doveva essere Mosè. Proprio lui, il liberatore degli Ebrei dalla schiavitù egizia! Il libro ha la sua origine in quel fatidico pomeriggio ed è frutto di decenni di ricerche appassionate, letture onnivore, studi da autodidatta. Volevo sottolineare proprio quest’ultimo
\ aspetto: non ho una formazione da teologo né da egittologo, ma ho studiato molto per conto mio e tante volte mi sono affidato a rabbini, sacerdoti ed esperti del settore, con molta umiltà».
\ - Di questo libro colpisce una cosa, in particolare: la capacità di fondere la serietà e il rigore di un saggio, per giunta fedelissimo al testo biblico, con uno stile da vero e proprio romanzo.
\ «Non volevo scrivere una storia ispirata a Mosè: anzi, sentivo l’esigenza di fare piazza pulita di tutto l’immaginario cinematografico e di ‘sentito dire’ su questa figura così complessa. Nello stesso tempo, mi sono preoccupato molto di non appesantire il libro: desideravo un’opera accessibile a tutti, non solo agli addetti ai lavori».
\ - Non voglio svelare la tesi più affascinante di questo saggio, ma una cosa è doveroso affermare: nel libro, l’interpretazione della vicenda di Mosè è - non esagero - ‘rivoluzionaria’, o quantomeno molto originale.
\ «Diciamo che è un’interpretazione... nuova. Basata, però, rigorosamente sul racconto dei testi sacri e sulle testimonianze dell’archeologia e dell’egittologia. Queste ultime dimostrano, per me inequivocabilmente, che quanto leggiamo nella Bibbia a proposito di Mosè è vero, autentico:
\ si trattava solo di dare un sistemazione interpretativa chiara. Non so se la mia sia quella corretta: la mia è una proposta. Sarà il lettore a giudicare».
\ - Di certo, quella famosa frase “Dio cercò di farlo morire” è uno dei punti focali del saggio...
\ «Mi ha ossessionato per anni. Ricordo che domandai in classe, al professore di religione, il motivo di quell’episodio così incredibile; la replica fu: “Chi ti ha mai detto una cosa del genere?”. Eppure era scritto nell’Esodo! Gli stessi interpreti, cristiani ed ebrei, di tutte le epoche e di tutti i luoghi, o non ne hanno parlato, o ne hanno dato una spiegazione rapida e poco convincente».
\ - In Mosè dei faraoni si ha anche l’opportunità di riscoprire alcuni grandi personaggi dell’antico Egitto come Ramses II e, soprattutto, Amenophis IV, il famoso ‘Akhenaton’. Quest’ultimo mi ha affascinato fin da bambino...
\ «Fu un personaggio straordinario. Abbandonò il politeismo e instaurò una religione basata sul culto del solo dio Aton, rappresentato come ‘disco solare’; creò dal nulla una nuova capitale, Tell El Amarna; si fece raffigurare, per la prima volta nella storia egizia, con tratti di assoluto naturalismo, rompendo con la tradizionale astrazione e idealizzazione dell’arte precedente. In un libro di cui non condivido più quasi nulla e che tuttavia mi ha influenzato moltissimo, ossia L’uomo Mosè e la religione monoteista, Sigmund Freud arriva addirittura a dire che il dio unico degli Ebrei e di Mosè altro non sarebbe che una ‘riedizione’ del monoteismo di Akhenaton».
\ - Tesi affascinante, ma Freud sbagliava spesso.
\ «Vero. In ogni modo, il suo è stato un libro che mi ha fatto molto riflettere, assieme a tanti altri che ho voluto - e non dovuto - leggere per capire la figura di Mosè. Quello che a me interessa, più di ogni altra cosa, è presentare un’ipotesi basata sul rigore assoluto riguardo ad un argomento di importanza enorme...»
\ - E direi che il compito è perfettamente riuscito!
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\ VANNI VERONESI - Alta Quota, numero 36 maggio/giugno 2011
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\ Per maggiori informazioni www.luigicosmi.it
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\ Intervista riportata qui sotto in forma integrale:
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\ Luigi Cosmi è l’autore di un bellissimo saggio, pubblicato da Goliardica Editrice, intitolato Mosè dei faraoni. Non voglio fare altri preamboli: vi prometto che ciò che leggerete sarà davvero sorprendente...
\ - Innanzittutto, chi è Luigi Cosmi?
\ «A metà degli anni ‘50 mio padre emigrò in Venezuela per lavoro; io dovevo ancora nascere, mio padre riuscì a ricomporre il nucleo familiare solo l’anno dopo, quando tutti ci trasferimmo a Caracas, che a quel tempo era una vera capitale moderna: evoluta, caotica, ma assai migliore rispetto ad oggi… Alle elementari ho frequentato sia la scuola con ordinamento venezuelano, sia quella con ordinamento italiano, a giorni alterni; finite le elementari, si poteva scegliere fra la scuola solo venezuelana e quella solo italiana. Scegliemmo la seconda, anche se molte materie erano comunque legate al luogo dove vivevo: la storia, la geografia, la letteratura e l’educazione civica erano
\ ‘doppie’, italiane e sudamericane».
\ - Una faticaccia...
\ «Sì, senza contare che il mio liceo scientifico era di quattro anni, ma il programma era comunque tarato sui normali cinque: puoi immaginare la quantità di studio! Lingua e letteratura straniera; inglese. Lingua e letteratura ‘madre’: italiana. Lingua e letteratura spagnola e sudamericana...
\ perché ero in Venezuela. E infine latino, ovviamente. Più tutte le tipiche materie dello scientifico. Poi fu la volta dell’università: decisi che era il momento di andare in Italia. Per me, l’università era sostanzialmente tre cose: medicina, legge, ingegneria. Il resto non sapevo neanche che esistesse... Arrivai dunque a Padova, dove fui accolto dai miei zii, conosciuti per la prima volta in aeroporto. Scelsi medicina, ma...»
\ - Ma?
\ «I primi due anni completai tutti gli esami, eppure sentivo che qualcosa non andava. Mi pesava alzarmi e andare all’università e ciò mi faceva pensare: “Ma come? È una scelta che ho fatto io, non è possibile soffrirne”. Così, scrissi una lettera ai miei genitori: “Mi iscrivo a psicologia”, facoltà che avevo scoperto per puro caso esistere a Padova. Ma nemmeno quella fu la volta buona: mi dividevo fra Venezuela e Italia, non sapevo davvero che fare della mia vita. Nel frattempo, però, mio padre era diventato qualcuno a Caracas: era regista e aveva una casa di produzione cinematografica. Mi propose dunque di entrare nel mondo della pubblicità, ambiente che conosceva bene: in poco tempo fui assunto in un’azienda pubblicitaria molto importante. Ci rimasi due anni e mezzo, ma il richiamo dell’Italia e della ragazza che avevo conosciuto all’università mi convinsero: sarei tornato definitivamente per riprendere gli studi. Così, tornai a Padova, mi sposai e poi mi trasferii con mia moglie a Roma, dove mi laureai in psicologia nel 1985. L’anno dopo ero già psicologo a Udine: da allora sono consulente per la formazione degli insegnanti di sostegno. Mi sono occupato anche di elaborazione di dati cognitivi».
\ - Devo dire che questo si nota, nel libro: la capacità di analisi dei dati a disposizione... Venendo più nel dettaglio al tema dell’opera, com’è nata l’idea di un saggio su Mosè?
\ «Cominciò tutto un pomeriggio a Caracas. Avevo quindici anni ed ero solo in casa: vidi un volumone viola sugli scaffali, con la scritta dorata La Sagrada Bibla (era la Bibbia in spagnolo), e sentii la curiosità di aprirla, cosa mai fatta prima. Aprii il tomo sulla pagina segnata dalla fettuccia segnalibro e lessi questa frase: “Mentre si trovava in viaggio... Dio cercò di farlo morire». Ne fui sconvolto.
\ Ma come? Mi era sempre stato insegnato che Dio era amore, pace, bontà immensa... e la Bibbia riportava una frase come questa? Volli subito saperne di più: sfogliai all’indietro il libro e capii che il soggetto del tentato assassinio divino doveva essere Mosè. Proprio lui, il liberatore degli Ebrei dalla schiavitù egizia! Il libro ha la sua origine in quel fatidico pomeriggio ed è frutto di decenni di ricerche appassionate, letture onnivore, studi da autodidatta. Volevo sottolineare proprio quest’ultimo
\ aspetto: non ho una formazione da teologo né da egittologo, ma ho studiato molto per conto mio e tante volte mi sono affidato a rabbini, sacerdoti ed esperti del settore, con molta umiltà».
\ - Di questo libro colpisce una cosa, in particolare: la capacità di fondere la serietà e il rigore di un saggio, per giunta fedelissimo al testo biblico, con uno stile da vero e proprio romanzo.
\ «Non volevo scrivere una storia ispirata a Mosè: anzi, sentivo l’esigenza di fare piazza pulita di tutto l’immaginario cinematografico e di ‘sentito dire’ su questa figura così complessa. Nello stesso tempo, mi sono preoccupato molto di non appesantire il libro: desideravo un’opera accessibile a tutti, non solo agli addetti ai lavori».
\ - Non voglio svelare la tesi più affascinante di questo saggio, ma una cosa è doveroso affermare: nel libro, l’interpretazione della vicenda di Mosè è - non esagero - ‘rivoluzionaria’, o quantomeno molto originale.
\ «Diciamo che è un’interpretazione... nuova. Basata, però, rigorosamente sul racconto dei testi sacri e sulle testimonianze dell’archeologia e dell’egittologia. Queste ultime dimostrano, per me inequivocabilmente, che quanto leggiamo nella Bibbia a proposito di Mosè è vero, autentico:
\ si trattava solo di dare un sistemazione interpretativa chiara. Non so se la mia sia quella corretta: la mia è una proposta. Sarà il lettore a giudicare».
\ - Di certo, quella famosa frase “Dio cercò di farlo morire” è uno dei punti focali del saggio...
\ «Mi ha ossessionato per anni. Ricordo che domandai in classe, al professore di religione, il motivo di quell’episodio così incredibile; la replica fu: “Chi ti ha mai detto una cosa del genere?”. Eppure era scritto nell’Esodo! Gli stessi interpreti, cristiani ed ebrei, di tutte le epoche e di tutti i luoghi, o non ne hanno parlato, o ne hanno dato una spiegazione rapida e poco convincente».
\ - In Mosè dei faraoni si ha anche l’opportunità di riscoprire alcuni grandi personaggi dell’antico Egitto come Ramses II e, soprattutto, Amenophis IV, il famoso ‘Akhenaton’. Quest’ultimo mi ha affascinato fin da bambino...
\ «Fu un personaggio straordinario. Abbandonò il politeismo e instaurò una religione basata sul culto del solo dio Aton, rappresentato come ‘disco solare’; creò dal nulla una nuova capitale, Tell El Amarna; si fece raffigurare, per la prima volta nella storia egizia, con tratti di assoluto naturalismo, rompendo con la tradizionale astrazione e idealizzazione dell’arte precedente. In un libro di cui non condivido più quasi nulla e che tuttavia mi ha influenzato moltissimo, ossia L’uomo Mosè e la religione monoteista, Sigmund Freud arriva addirittura a dire che il dio unico degli Ebrei e di Mosè altro non sarebbe che una ‘riedizione’ del monoteismo di Akhenaton».
\ - Tesi affascinante, ma Freud sbagliava spesso.
\ «Vero. In ogni modo, il suo è stato un libro che mi ha fatto molto riflettere, assieme a tanti altri che ho voluto - e non dovuto - leggere per capire la figura di Mosè. Quello che a me interessa, più di ogni altra cosa, è presentare un’ipotesi basata sul rigore assoluto riguardo ad un argomento di importanza enorme...»
\ - E direi che il compito è perfettamente riuscito!
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\ VANNI VERONESI - Alta Quota, numero 36 maggio/giugno 2011
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\ Per maggiori informazioni www.luigicosmi.it